La spesa sociale in Germania – dov’è l’esplosione?
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Di Pierantonio Rumignani, PD Berlino e Brandeburgo
In considerazione del moltiplicarsi degli interventi da parte di Unione ed FDP con richieste sempre più pressanti di riduzione della spesa sociale in modo da permettere investimenti e aumenti del budget militare urge fare ordine e guardare a dati e fatti. È ovvio che questo dilemma così posto è conseguenza in buona parte dell’applicazione del freno all’indebitamento (Schuldenbremse) che toglie flessibilità alla politica fiscale del governo. Non mi soffermo qui sugli aspetti negativi dello strumento che ieri Angel Uribe di Citadel ha definito “un fiasco” in Market Insight del Financial Times ma mi permetto di attirare l’attenzione su un recente studio di IMK a firma degli economisti Dullien e Ritzler che mostra un confronto tra la spesa sociale in Germania e negli altri paesi occidentali (“Die Mär vom ungebremst wachsenden deutschen Sozialstaat”). In molti giornali tedeschi, tra cui anche il Vorwärts del 20 febbraio scorso, si sono dedicati articoli sul breve lavoro in cui viene documentata la posizione di “metà classifica” della Germania tra i paesi europei a riprova del fatto che non si è assolutamente di fronte a una situazione particolarmente elevata dei costi sociali come viene venduto dai partiti conservatori.
Mancando tuttavia nel lavoro di Dullien e Ritzler un riferimento statistico all’evoluzione nel tempo della spesa sociale tedesca mi sembra importante coprire anche tale punto in modo veloce ma sufficientemente conclusivo in modo da mostrare la sua evoluzione sostanzialmente stabile e ben lontana dall’esplosione che alcuni sorprendentemente vogliono vedere e denunciano.
Il grafico mostra innanzitutto un andamento praticamente costante della spesa sociale del sistema, inclusa quella privata (ad es. per l’assicurazione sanitaria), con un temporaneo e prevedibile aumento del rapporto sul PIL in corrispondenza della pandemia e della forte turbativa sui mercati dell’energia negli anni 2000-2001. La leggera inclinazione verso l’alto è fondamentalmente riconducibile alla spesa pensionistica come mostrato nel successivo grafico 2. La parte della spesa finanziata dallo stato (mediante utilizzo delle entrate tributarie) si comporta in modo ancora più stabile in relazione al PIL ritrovandosi nel 2022 in linea con l’inizio del decennio passato (i dati per il 2033 saranno disponibili a breve).
GRAFICO 1 – fonti: Sozialbudget/BAS, Destatis
GRAFICO 2 – fonti: Sozialbudget/BAS, Destatis
Come è noto è il sistema pensionistico, a parte il sistema sanitario ove si parla di importi molto inferiori, a richiedere in particolare un intervento di riordino da parte dello stato in considerazione di una previsione negativa della sua dinamica. Cercherò di occuparmene in un altro contributo
È interessante dare uno sguardo al bilancio del Bund , ovvero agli aggregati che più immediatamente sono regolabili dal governo e in cui si ritrovano i principali capitoli di spesa oggetto di contesa da parte dell’Unione. Anche qui, nel quadro generale, l’evoluzione della spesa totale del Bund in rapporto al PIL (2011-2023, senza le gestioni straordinarie, ad es. per la spesa militare) evidenzia un ritorno l’anno scorso ai livelli storici conosciuti all’inizio degli anni ‘10 dopo l’impennata 2020-2022 dovuta alle cause già citate.
GRAFICO 3 – fonte: BMF
All’interno della spesa totale dell’amministrazione centrale quella sociale mostra anch’essa un andamento ancor meno problematico malgrado crescenti impegni e problemi, in particolare relativamente ai temi della pensione e della migrazione. È da notare che in rapporto al PIL la curva della spesa sociale si ritrova nel 2023 con il 5,2% al di sotto del livello ben più elevato degli anni 2011-2012. Ciò fa trasparire, con particolare riguardo al periodo della grande coalizione Unione/SPD, una politica restrittiva al fine di limitare la spesa in una rincorsa alla schwarze Null di Schäuble.
GRAFICO 4 – fonte: BMF
Diversamente si presenta la curva della spesa globale dello stato ove confluiscono anche gli impegni straordinari derivanti dai Sondervermögen (gestioni speciali, tra cui quello per le spese militari fino alla concorrenza di € 100 mrd).
GRAFICO 5 – fonte: Destatis
Qui sono i veri problemi cui non si è ancora dato veramente mano e dove una recente sentenza della Corte costituzionale, unitamente all’impasse su una revisione della Schuldenbremse, restringono fortemente la flessibilità della spesa pubblica mentre le necessità si fanno sempre più pressanti come mostra il fileggiamento della competitività del dell’economia tedesca .
È evidente che in un tale contesto i partiti conservatori, rifiutando sia un maggiore indebitamento sia una politica fiscale più aggressiva, non possono che richiedere una riduzione della spesa e in concreto di quella sociale attirando l’attenzione su un suo eccesso peraltro non documentato e non documentabile. Fa specie che il primo attacco sia avvenuto sul terreno del Bürgergeld ove è più facile giocare sui risentimenti di molti cittadini, già attizzati da un’AfD populista e xenofoba, contro terzi ritenuti approfittatori saprofiti. Di fronte alla realtà dei numeri modesti ricavabili da restrizioni sul Bürgergeld l’obiettivo va ora a includere altre posizioni della spesa e in particolare quelle relative al sistema pensionistico – anche se tuttora in modo non riconducile a un piano preciso. La richiesta generale di complementi pensionistici sotto forme a capitalizzazione non possono che portare a un sostanziale aggravio per lo stato (vedi l’infelice esempio del Cile) se non si vuole andare diritto a una riduzione in prospettiva delle pensioni, a parte l’assoggettamento all’obbligo di contribuzione di chi al momento è esente come i dipendenti pubblici. Il progetto della attuale coalizione ne è una dimostrazione, per quanto assai modesta negli importi e assolutamente insufficiente “a fare la differenza”.
È evidente dai grafici di cui sopra che la soluzione va trovata altrove.
Che significa tutto ciò per la sinistra, assodato che la situazione attuale è incompatibile con uno sforzo finanziario della dimensione richiesta dalle pesanti esigenze del momento?
È da notare che il peso dell’imposizione fiscale la Germania offre spazi indubbi di manovra. Contrariamente a quanto ripetuto incessantemente dall’Unione, per quanto prevalentemente con riferimento alle imposte sulle imprese, il sistema tedesco non figura tra quelli più soggetti ad alta tassazione come la seguente tabella tratta dalle statistiche della OECD:
Introiti fiscali: imposte, contributi sociali 2022 | ||||
Francia | 46,1 | Grecia | 41,0 | |
Norvegia | 44,3 | Germania | 39,3 | |
Austria | 43,1 | Lussemburgo | 38,6 | |
Finlandia | 43,0 | Paesi Bassi | 38,0 | |
Italia | 43,0 | Spagna | 37,5 | |
Belgio | 42,4 | Portogallo | 36,4 | |
Danimarca | 41,9 | Gran Bretagna | 35,3 | |
Svezia | 41,3 | Svizzera | 27,2 |
Ma sarebbe errato risolvere la questione prevalentemente sul piano fiscale mentre il nocciolo del dilemma riguarda lo spazio disponibile per un aumento particolarmente consistente del PIL e come questo possa essere realizzato senza che un eccesso di domanda provochi inflazione e/o non sia ottenibile per una disponibilità insufficiente di fattori di produzione, in particolare di capitale umano allorché il tasso di occupazione si trova a un massimo storico, e senza che la sola via praticabile sia quella di una riduzione del consumo – come sarebbe la conseguenza logica seguendo le prese di posizione dei partiti conservatori.
PAR 14.03.2024