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Liebe ist Liebe!

Liebe ist Liebe!

Da oggi la Germania si unisce ai tanti paesi europei che hanno approvato i matrimoni omosessuali, staccando nettamente l’Italia che rimane l’unico fra i grandi paesi occidentali a non procedere a tale riconoscimento. Dopo la legge sulle unioni civili dello scorso anno, quali sono le intenzioni per il futuro nel nostro paese? L’ho chiesto alla Sen. Donella Mattesini, la quale ci conferma che al momento il capitolo sembra chiuso, anche considerato che siamo ormai vicini alla fine della legislatura.

Ho chiesto a Donella quali siano stati da parte sua gli step successivi all’introduzione delle unioni civili in Italia. Mi racconta di aver depositato in Senato una proposta di legge sulle adozioni che estende questo diritto anche a single e persone unite civilmente. Ad oggi tale proposta non è stata ancora assegnata (discussa forse?) e per quanto i tempi ormai stringano, l’auspicio è che l’iter per l’approvazione possa iniziare quanto prima. Nonostante le mille difficoltà siamo fieri come Circolo PD Berlino e Brandeburgo dei passi fatti in questo senso, anche considerato che lo scorso anno ci eravamo mossi per farle ricevere una nostra lettera (magari spiegare cosa c’era scritto in questa lettera), indirizzata a lei in quanto capogruppo della commissione bicamerale infanzia.

Tornando alla Germania, l’apertura al matrimonio egualitario da parte della Merkel è frutto di una presa di coscienza della Cancelliera oppure si tratta dei preludi ad una possibile riedizione della grande coalizione? La domanda appare più come legittima considerando che i potenziali futuri partner della CDU, ovvero SPD e FDP, premerebbero entrambi per includere l’estensione del matrimonio alle coppie dello stesso sesso come punto fermo di un nuovo patto di coalizione. Ad ogni modo il voto di oggi in Bundestag è passato quasi in sordina, confrontato con il periodo di violenza e aggressività mediatica vissuto in Italia fra febbraio e maggio 2016, indice questo della maturità ormai raggiunta sia dalla popolazione che dalla politica tedesca.

E allora ci sentiamo di ringraziare l’SPD per la mossa coraggiosa fatta e di augurare a tutte e tutti “Alles Liebe und Gute zur Hochzeit!”

Prossima fermata: Christopher Street Day il 22 luglio a Berlino!

Filippo Matteini

Gruppo di Lavoro LGBTQI

Circolo PD Berlino e Brandeburgo




Festa del primo maggio a Berlino

Come ogni anno anche noi abbiamo preso parte alla festa del primo maggio e alla parata con la SPD, Die Linke, Verdi e altri gruppi per celebrare la festa del lavoro.

Abbiamo cantato Bella Ciao in italiano e tedesco. Anche questo è un modo per essere più vicini.

Di seguito le foto della manifestazione.

Federico Quadrelli
Segretario PD Berlino e Brandeburgo




Incontro con Sylvia-Yvonne Kaufmann

il 29.04.2016 abbiamo incontrato la nostra eurodeputata SPD Sylvia-Yvonne Kaufmann presso il ristorante italiano Grano&Pepe.

Abbiamo avuto una discussione ricca, interessante e molto partecipata su temi complessi come la sicurezza e la lotta al terrorismo, il fenomeno migratorio e la questione della partecipazione politica nella socialdemocrazia europea. Abbiamo affrontato anche temi molto tecnici riguardanti TTIP e CETA così come la questione della modifica dei trattati internazionali.

Un grazie di cuore a Sylvia-Yvonne per essere stata con noi e per la sua disponibilità e competenza. Un grazie anche a chi ha partecipato e al ristorante che ci ha preparato un buffet italiano buonissimo. Un saluto anche a chi non è potuto essere presente per i tanti impegni.

Il nostro impegno va avanti. Fare politica può arricchire davvero sia chi la fa sia chi partecipa. Molto dipende dall’impegno, dalla serietà, dall’onestà e dalla competenza di chi ci rappresenta nelle sedi istituzionali. Sono felice e onorato dell’amicizia con Sylvia-Yvonne Kaufmann e il nostro gruppo PD Berlino.

Avanti tutta, per contribuire al bene di questa città e dell’Europa. Insieme.

Federico Quadrelli
Segretario PD Berlino e Brandeburgo




Celebrazioni del 25 aprile a Berlino

Anche quest’anno abbiamo celebrato la ricorrenza del 25 aprile assieme all’AG Carlo Levi e alle amiche e agli amici tedeschi.

La domanda che molti si chiedono è “perché?”. Celebrare la festa del 25 aprile è un’occasione per ricordare quanti sono morti combattendo per la nostra libertà. Abbiamo la responsabilità di tenere viva la memoria. Di non dimenticare e di non permettere che le nuove generazioni diano per scontato quanto hanno. La libertà non è stata data una volta per sempre. Ogni giorno dobbiamo essere testimoni di quel sacrificio e lottare affinché nuove forme di fascismo non riemergano.

L’Europa vive un momento difficile. In Germania come in Polonia, in Ungheria come in Francia, in Italia come in Austria. Movimenti di destra, xenofobi, euroscettici e nazionalisti risorgono. La battaglia non è finita. La democrazia va preservata.

La sfida è immensa. La posta in gioco vitale. Non possiamo indietreggiare di un passo. Dobbiamo lottare per mantenere la pace e la libertà che ci sono state donate. Si tratta di un obbligo verso il passato e di una responsabilità per il futuro.

Celebrare questa ricorrenza, oggi, assieme alla comunità tedesca dà la misura di quanto è stato fatto. La strada è quella giusta. E ora tutti insieme dobbiamo stringerci ancora più forte per creare quell’Europa di pace, sicurezza e libertà, per tutte e tutti.

Buon 25 aprile!

Federico Quadrelli
Segretario PD Berlino e Brandeburgo




Verdini incompatibile con il PD

Denis Verdini ha dichiarato che intende sostenere Beppe Sala a Milano e Roberto Giachetti a Roma, faccia pure se vuole, come libero cittadino ne ha facoltà, e così tutte e tutti coloro che vorranno dare il loro voto libero al candidato che preferiscono, ma non si aspetti niente in cambio: l’accesso al PD è sbarrato e sarà bene che i vertici del PD, compresi Sala e Giachetti, dicano chiaramente che una persona con la storia di Verdini è incompatibile con tutto ciò che il PD è e vuole rappresentare.

Federico Quadrelli
Segretario PD Berlino e Brandeburgo




Per Umberto Eco

In questi giorni tutti i giornali tutti gli intellettuali e molti scrivani di vario genere commemoreranno la figura di Eco

ai piccoli scrivani, come il sottoscritto, non spetta certo fare il bilancio né dell’opera letteraria né dell’opera scientifica (semiotica) né del valore politico di entrambe nella sterminata attività di Umberto Eco

credo dunque che la cosa più saggia sia raccontare che cosa ha significato per me e che cosa mi ha dato Umberto Eco in un arco di tempo di 40 anni: da quando lo conobbi sui banchi dell’università, intorno al 1974-75, fino ad oggi, nel momento della scomparsa fisica (lo spirito resta)

negli anni ’70 Eco aveva già prodotto alcuni libri fondamentali, il Trattato di semiotica generale apparso nel 1975 lo consacrava principe della disciplina (almeno in terra italica); fu in quell’anno credo che frequentai un suo seminario a Bologna

era evidente che Eco era pieno di cultura e di erudizione, frizzante e spiritoso, ma subito mi urtò quel modo un po’ nonchalant di fare lezione: il suo continuo divagare da un tema all’altro, una particolare forma di leggerezza che sembrava tradire improvvisazione (se paragonata con il rigore un po’ pedante di altri docenti da me amati), insomma lo stimai, ma nel contempo lo catalogai: docente superimpegnato e famoso che ha poco tempo per gli studenti e per preparare le lezioni

questo stile ovviamente lo avrei riscoperto nelle classiche bustine di Minerva: i suoi vivaci e gustosi articoli di una paginetta pubblicati sull’Espresso ritrovati poi – una volta approdato io nel 1981 in terra germanica – in Die Zeit: a poco a poco cominciai ad amarlo

nel 1986 scoprii una sua definizione dell’ironia che mi sembrava semplice e geniale: „Manche glauben, Ironie bestehe darin, bewußt das Gegenteil dessen zu sagen, was der Fall ist. Tatsächlich besteht sie darin, das Gegenteil dessen zu sagen, was ich glaube, daß es der Fall sei, und was der Adressat meiner Ironie glaubt, daß es der Fall sei, auf Kosten eines Opfers, das nicht glaubt, was wir glauben.“ (Die Zeit , Nr. 41, 5.12.1986); quando – 5 anni dopo – mi ritrovai a collaborare, nel 1991, con il principe assai meno noto della semiotica germanica, Roland Posner, avrei apprezzato in lui e con Eco proprio questo genere di rompicapi; capii dunque che i semplici articoletti… divulgativi che Eco scriveva sulla stampa, erano una forma di complessità ad uso di un pubblico non specializzato ma colto, ed erano una sfida intellettuale formidabile

quando apparve il suo primo romanzo, Il nome della rosa, nel 1980, lo lessi con passione, ma lo trovai un po’ meno straordinario di quanto vari ammiratori lo facevano; questa opinione nel suo fondo l’ho conservata: Eco non era un geniale letterato, era piuttosto un Universalgelehrter e il romanzo, prima che letteratura, era una possibilità in più per dare sfogo al suo irrefrenabile bisogno di pensare analizzare riflettere commentare e, non dimentichiamolo: agire politicamente

nel 2006 mi trovavo ad un convegno scientifico a Bielefeld, là conobbi un informatico pure lui entusiasta di Eco, ricordo che gli dissi: ecco, è come se Eco avesse scritto i suoi libri scientifici per spiegare i suoi aforismi (le bustine di Minerva) – e non viceversa

insomma, per capire le bustine di Minerva occorre saperne tante e se io le avevo inizialmente sottovalutate credo dipendesse da questo: non ero abbastanza colto per poterle leggere

nel 2004, in una delle sue „bustine“, lessi una specie di recensione del libro di Peter Hopkirk (1990), Il Grande Gioco; era una recensione favolosa piena di incredibili citazioni come la seguente: „si scopre che monarchi e sultanetti […] erano impegnati in un gioco talora mortale con Inghilterra e Russia ma di queste nazioni avevano nozioni vaghissime […] tanto che uno di questi reucci domanda orgogliosamente un giorno all’inviato inglese se la regina Vittoria possiede venti cannoni come lui“

subito decisi di comprare il libro e vorace ne lessi le oltre 600 pagine; arrivato in fondo mi dissi: beh certo, carino, ma tutti i passaggi migliori si trovavano già citati nella recensione di Eco; fu allora che appresi come leggere un libro significhi ridurlo a un paio di citazioni fondamentali e facilmente memorizzabili – provate a rifletterci: 600 pagine condensate con perfetto equilibrio e scelta in una paginetta, un’impresa ciclopica!

nel 2010 decisi di rileggere Il nome della rosa, forse – mi dissi – l’ho sottovalutato a torto;

ancora una volta Eco mi sorprese e mi beffò: un libro certo piacevole e interessante, che credevo di aver capito a fondo, mi rivelava nuove sfaccettature, era la dimostrazione di quanto aveva scritto Eco in anni giovanili: l’opera riuscita è un’opera aperta, la puoi rileggere cento volte e scoprirai sempre qualcosa di nuovo

che cosa avevo scoperto?

in un saggio del 1983 Eco reinterpreta in chiave semiotica (teoria dei segni e degli indizi) un celebre passo dello Zadig di Voltaire qua citato:

“Giovanotto,” gli disse il primo eunuco, “non avete per caso visto il cane della regina?”
Zadig modestamente rispose:
“Si tratta di una cagna e non di un cane.”
“Avete ragione,” ammise il primo eunuco.
“È una cagnetta spagnuola,” aggiunse Zadig, “ha partorito da poco, zoppica con la zampa sinistra anteriore ed ha le orecchie molto lunghe.”
“L’avete dunque vista,” disse trafelato il primo eunuco.
“No,” rispose Zadig, “non l’ho mai vista, e non ho mai saputo che la regina avesse una cagna.”

implacabile come un freddo computer, una sorta di Hal 9000, Zadig leggendo i segni e le tracce del mondo ricostruisce infallibilmente a partire da essi il reale, l’esistente, senza neppure doverlo conoscere

Eco aveva già utilizzato qualche anno prima la storia di Voltaire riadattandola al suo protagonista; ma diverso è l’atteggiamento di Guglielmo il quale – con ben altra passione e nella consapevolezza del rischio – spiega come ha potuto riconoscere il cavallo Brunello a partire da vari segni sparsi, però – a differenza di Zadig – ammette che nulla garantiva di azzeccarci

Io non sapevo quale fosse l’ipotesi giusta sino a che non vidi il cellario e i servi che cercavano con ansia. E allora capii che l’ipotesi di Brunello era la sola buona, e cercai di provare se fosse vera, apostrofando i monaci come feci. Vinsi, ma avrei anche potuto perdere. […] mi hanno creduto saggio perché ho vinto, ma non conoscevano i molti casi in cui sono stato stolto perché ho perso […] (308)

ma il discorso prosegue e diventa un apologo del razionalismo fallibilista (alla Popper) contrapposto al fanatismo di chi crede in una sola definitiva verità:

“Ma allora,” ardii commentare, “siete ancora lontano dalla soluzione…”
“Ci sono vicinissimo,” disse Guglielmo, “ma non so a quale.”
[…]
“E voi,” dissi con infantile impertinenza, “non commettete mai errori?”
“Spesso,” rispose. “Ma invece di concepirne uno solo ne immagino molti, così non divento schiavo di nessuno.”
[…] Egli […] si divertiva a immaginare quanti più possibili fosse possibile.
(308-309)

chi è insomma questo Guglielmo indagatore e detective, protagonista assoluto di un Umberto Eco che si è appena scoperto scrittore?
Guglielmo è, realisticamente nel romanzo, un monaco con le sue convinzioni da monaco ed è, in maniera un po’ surreale e fantascientifica, al di sopra del suo tempo e dei limiti del tempo; Guglielmo è – credo – Eco stesso, che cerca di capire il presente: gli anni ’70 in Italia, un’epoca di lotte sociali e di radicalismi che sfociano nel terrorismo

in generale Guglielmo è l’uomo della moderazione, ma il dilemma centrale – forse in omaggio allo spirito del tempo in cui viveva il suo autore – lo si trova nelle molte pagine dedicate agli eretici; dunque: chi sono gli eretici, da un lato, e i rinnovatori all’interno dell’ortodossia come i francescani, come Guglielmo, dall’altro?

nel ritratto del saggio Ubertino Eco, pardon Guglielmo, suggerisce un’interpretazione formidabile, che è anche un trattato di Realpolitik in poche righe:

“È, o è stato [Ubertino], per molti aspetti, un grande uomo. Ma proprio per questo è strano. Sono solo gli uomini piccoli che sembrano normali. Ubertino avrebbe potuto diventare uno degli eretici che ha contribuito a fare bruciare, o un cardinale di santa romana chiesa. È andato vicinissimo a entrambe le perversioni. Quando parlo con Ubertino ho l’impressione che l’inferno sia il paradiso guardato dall’altra parte.” (73)

Eco è l’uomo dal fine e affascinante intelletto, ma è stato per me – sempre più fortemente con il passare degli anni – il pensatore politico che ha saputo guarirmi dal mio infantile estremismo e nel contempo preservarmi dal moderatismo senile, incline al compromesso e al quieto vivere – le sue polemiche contro il fondamentalismo, anche di sinistra, non rappresentano l’abbandono di posizioni ideali e di principî irrinunciabili, ma sono forse la prova di un estremismo equilibrato (che ossimoro!) sempre pronto ad accapigliarsi con pacata arguzia con tutte le forme di semplificazione del mondo nel nome della ricerca permanente:

Quindici giorni fa ho protestato contro un invito al boicottaggio delle istituzioni accademiche e degli intellettuali israeliani, firmato anche dal mio amico Gianni Vattimo. […]
Insomma, Amos Oz non lo vogliono a Mea Shearim (il quartiere dei fondamentalisti di Gerusalemme) e non lo vogliono a Torino […]. Dove deve andare questo ebreo errante?
(bustina di Minerva del 3.6.2010)

Pericle era un figlio di buona donna – ha scritto Eco in un saggio ripreso da Repubblica (14.1.2012) – e allora subito mi chiesi: ma come! Pericle il mito della democrazia greca?

Eco spiega che un celebre discorso di Pericle è in realtà il discorso di un guerrafondaio; incerto se prestare fede a Eco andai a leggermi la biografia di Will che conoscevo come lo storico che aveva dato un brillante ritratto „di sinistra“ delle plebi e del mob romani
scoprii allora che la figura di Pericle è avvolta nelle nebbie del passato; pochissimi sono i dati certi sulla sua vita e le sue opinioni; uno di questi è la legge sulla cittadinanza: Pericle fece una legge che riconosceva la cittadinanza ateniese soltanto a coloro i cui genitori fossero entrambi cittadini ateniesi – insomma un Pericle che mostra preoccupanti affinità con le ali destre dei partiti governativi di sempre

ancora una volta Eco aveva riassunto in una frase – „figlio di buona donna“ – un giudizio politico fondato, che colpiva nel segno, anche al di là di quanto da lui scritto

ma il merito principale di Eco fu quello di avermi costretto a leggere una biografia di Pericle così come 8 anni prima mi aveva costretto a leggere le 600 pagine del Grande gioco poi a rileggere il suo primo romanzo e infine il romanzo autobiografico di Amos Oz, Eine Geschichte von Liebe und Finsternis; qui l’amico di Amos Oz, Efraim Avnery, ribatte all’ancor giovane scrittore che aveva appena definito „assassini“ i palestinesi contro i quali lui e l’amico stanno combattendo

Wen wundert es, daß sie gegen uns die Waffen erhoben haben? Und jetzt, nachdem wir sie besiegt haben und Hunderttausende von ihnen in Flüchtlingslagern leben – was denn, erwartest du etwa von ihnen, daß sie sich mit uns freuen und uns alles Gute wünschen?

se nel 2012 mi trovavo a leggere, a stupirmi, a imprecare su un mondo che costringeva la razionalità e l’intelligenza a fare simili irrefutabili constatazioni, lo dovevo anche a Umberto Eco

la sua lezione: non basta leggere una fulminante bustina di Minerva o un agile saggio per capire il mondo, occorre leggere molto molto di più e alla fine forse si potrà capire davvero la bustina di Minerva, si potrà capire qualcosa del mondo e magari, come Eco ha cercato di fare per una vita con la sua opera di erudito e scettico indagatore, si potrà tentare di cambiarlo – il mondo
in meglio
almeno un poco

Massimo Serenari




Registrazione dell’intervento in Assemblea Nazionale, 21.02.2016

Care iscritte e cari iscritti,
care e cari simpatizzanti,

di seguito il video del mio intervento in Assemblea Nazionale a Roma.

http://www.partitodemocratico.it/pd-nel-mondo/intervento-di-federico/

Federico Quadrelli
Segretario PD Berlino e Brandeburgo




Intervento in Assemblea Nazionale del PD – Roma, 21.02.2016

Intervento_AssembleaQuando ho ricevuto la comunicazione della convocazione dell’Assemblea Nazionale del Partito Democratico a Roma ho fatto una promessa alle centinaia di ragazze e ragazzi che hanno partecipato all’iniziativa #svegliatitalia organizzata qua a Berlino per sostenere il DDL Cirinnà.

Avevo detto che avrei provato ad intervenire per testimoniare l’esperienza berlinese e chiedere al PD, con forza, coraggio e unità, di approvare questo DDL così come è, poiché si tratta di una misura giusta e minima di garanzia per le persone omosessuali. Ho mantenuto fede all’impegno preso.

Avrei voluto fare un intervento ordinato, strutturato e più professionale, ma non sono bravo a fare interventi leggendo cose scritte in anticipo e non sono, soprattutto, abituato a parlare con un timer davanti agli occhi. Ho cercato di essere coerente, anche se mi rendo conto di essere stato caotico, nel tessere un legame tra la retorica del “vogliamo più Europa” e approvazione di questo DDL. Ho chiesto se, alla luce di questo assurdo dibattito, perché per me tale è, l’Italia è davvero pronta ad essere più europea. La Germania, il paese dove molte e molti di noi vivono, ha questa legge dal 2001 e la stepchild adoption dal 2005. Servono più coraggio e determinazione, soprattutto da parte del nostro Segretario Nazionale, per difendere questo DDL così come è. Mi è dispiaciuto, e lo ho detto in modo chiaro, che Matteo Renzi non abbia fatto un minimo accenno alla Stepchild Adoption, poiché è il punto realmente importante, quello che rende questo DDL il minimo sindacale per i diritti LGBT in Italia. Ha detto giustamente del problema aritmetico: non abbiamo i numeri in senato per essere autonomi e serve un accordo. Ha detto che il M5S ci ha ingannato. Ed ha ragione. Ma ha anche detto che il gruppo di Verdini e NCD sono gli interlocutori alternativi con cui fare questa legge. Mi rammarico ancora di più, poiché questo, unito al totale silenzio sulla questione “adozione”, mi lascia pensare che si stia pensando di stralciare questo punto del DDL. Per me si tratta di una scommessa al ribasso inaccettabile e una grave sconfitta per il nostro partito.

Ho chiesto al Segretario di dimostrare più coraggio per questa battaglia di civiltà. Per fare quel passo che ci può realmente avvicinare all’Europa, per essere più coerenti con noi stessi e con la scelta fatta di aderire alla famiglia socialdemocratica europea. Coerenza e rispetto dei nostri valori. Coerenza rispetto alla volontà di cambiare l’Europa e a quella visita a Ventotene per celebrare, appunto, chi questa Europa ha voluto.

Non può, e non deve, prevalere il calcolo per l’equilibrio di governo, ma l’affermazione di un valore quello che solo il Segretario del PD può esprimere compiutamente, e non il Presidente del Consiglio. Infatti, ho cercato di parlare di questa incompatibilità. Il discorso fatto all’Assemblea era una relazione di un Presidente del Consiglio e non di un Segretario. Dal Segretario del mio partito mi sarei aspettato di discutere di come vogliamo lavorare insieme, di come vogliamo migliorare il partito, di come difendere quei valori che ci caratterizzano e che abbiamo scelto aderendo proprio al PSE. Avrei desiderato di vedere quella leadership e quel coraggio già visti per dire: basta discussioni, non si tratta di un tema etico, si tratta di un obiettivo che il nostro partito si è posto da tempo ed oggi dobbiamo andare in aula e difendere questo DDL così come è. No, è stato chiaro che non si vuole correre alcun rischio, mettendo invece i cinque stelle davanti all’evidenza e alle sue responsabilità. No, è stato chiaro che si è preferito un passo indietro da parte nostra: un ulteriore compromesso al ribasso e per me questo non è accettabile. Sarà una sconfitta pesante per la noi tutti: un danno alla credibilità del partito e del Segretario stesso in questo caso se questo DDL verrà approvato in una versione menomata, con Alfano e Verdini.

Si dice: a questo punto meglio che niente, qualche cosa. Una logica giusta e comprensibile: ma quel qualche cosa non può essere elemosina. Non si può. Non su un tema così importante come quello dei diritti, un tema che davvero serve a misurare la nostra distanza con l’Europa dei diritti, delle libertà e del presente. Il futuro è oggi? Allora facciamo insieme, tutti insieme, questo passo importante e comunque piccolo per avvicinarci al domani ed essere all’altezza delle sfide che ci siamo posti.

Al mio partito chiedo quindi coraggio, determinazione e di difendere in Senato questo DDL con la stepchild adoption. Ci siamo, non perdiamo anche questa occasione, sarebbe terribile.

Federico Quadrelli




Parigi – 13 novembre

Nel talk show di Jauch (domenica 15.11.2015) ci viene presentata una giovane coppia di tedeschi sopravissuta alla strage nella sala del concerto. Alla domanda: Vi siete barricati in questa stanza, ma come sapevate che non c’era più nessuno che voleva o poteva entrare per sfuggire ai massacratori? segue un momento di esitazione e imbarazzo – poi la giovane donna: abbiamo chiuso la porta, qualcuno ha aperto un’ultima volta, abbiamo fatto entrare ancora un paio di persone, infine abbiamo chiuso, ormai dovevamo decidere…

Dopo tre interminabili ore è arrivata la polizia a liberare la trentina di persone barricate in quella stanza. L’episodio è una metafora: l’Europa minacciata, poi realmente attaccata – l’Europa comincia a barricarsi, chiude le porte, dà un’occhiata, si prende dentro qualche profugo ancora e poi chiude definitivamente ogni via d’accesso e si dispone ad aspettare che fuori il mondo si acquieti. Ma quale meravigliosa e ideale polizia verrà a liberarci? Forse il 7° Cavalleggeri come nei film western vecchia maniera? Inutile illudersi che le porte tengano. Paradossalmente è più facile tener fuori i veri terroristi. Invece le masse disperate che fuggono dal terrorismo – ma anche dalla fame e dal sottosviluppo – quelle le nostre porte sprangate non potranno fermarle. La “società aperta” – tanto spesso citata e incensata in questi giorni – non ammette chiusure, non più di tanto.
Che fare?

Confessiamocelo anche noi, noi che abbiamo esultato quando Angela Merkel ha spalancato le porte, e poi l’abbiamo criticata quando ha fatto, parzialmente, marcia indietro, e poi l’abbiamo difesa dai Seehofer e dai De Maizière che tentavano di pugnalarla alle spalle – noi sappiamo che l’Europa non potrà accogliere e sfamare e istruire e assistere tutti i dannati della terra. Ma sappiamo anche che i dannati della terra non si lasceranno fermare dalle nostre buone parole o dai nostri poliziotti armati fino ai denti.

Com’è possibile che il burro europeo costi in Marocco meno del prodotto locale?, si chiedeva un mese fa Heribert Prantl sulla Süddeutsche Zeitung (17.10.2015). Come è possibile predicare il libero mercato e intanto sovvenzionare la nostra agricoltura e distruggere così il mercato dei prodotti locali nel Terzo Mondo? “Fintantoché il burro europeo è più economico del burro locale non potremo meravigliarci per l’esodo dai paesi africani”, conclude lo stesso giornalista.

Com’è possibile vendere armi micidiali all’Arabia Saudita sapendo che gli emiri di quel paese sono gli ispiratori occulti dello Stato Islamico? Forse perché, come ipotizza in un talk show televisivo (16.11.2015) Gesine Schwan (SPD), la violazione dei contratti già firmati ci costerebbe troppo caro? Che prezzo pagheremo quando quelle armi arriveranno all’IS?

Le destre isteriche gridano all’invasione musulmana e all’esportazione del terrorismo, opera dei paesi musulmani. Ma in quei paesi scopriamo – come ci suggerisce il giornalista Georg Mascolo – lo stesso speculare rimprovero: siete voi con i vostri giovani marginalizzati e fanatizzati che esportate il terrorismo! I vari John macellatori, e i francesi e gli inglesi islamisti che vanno a combattere in Siria (dalla sola Europa alcune migliaia) sono in parte un prodotto della precedente immigrazione. Ma talvolta anche figli del nostro sangue… cristiano – ancorché convertiti all’islam fanatico.

I fuggiaschi che abbandonano lo Zaire per cercare asilo in Svizzera – raccontava in un vecchio documentario un assistente sociale – non fanno altro che seguire i soldi di Mobuto. Perché se Mobuto trasferisce nelle banche svizzere i capitali accumulati depredando il suo popolo, a questa gente non resta che seguire lo stesso tragitto e inseguire i soldi, i loro soldi.

Che fare?
Si parla tanto di unità e di solidarietà in questi giorni pensando ai popoli europei, dimenticando che la solidarietà è indivisibile. Certo solidarietà con le vittime di Parigi. E degli scampati alle stragi e ai macelli della Siria e dell’Iraq che ne faremo?
Molti che prima votavano per la Linke – in Sachsen, Thüringen, Brandenburg – hanno votato nelle recenti elezioni regionali un partito nazionalista, razzista e islamofobo come l’AfD. Impossibile? Non sono forse passati in Italia alcuni bastioni che furono del Pci alla Lega? Un partito che ha fatto eleggere in un quartiere di Padova un consigliere comunale capace di scrivere su Facebook, in riferimento al ministro di pelle nera Cecile Kyenge, la seguente frase: “Ma mai nessuno che se la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato?” (la Repubblica, 14.6.2013).

Il mondo è complicato. La linea che separa i nostri valori, quei valori ai quali più che mai in questi momenti ci appelliamo, non è la linea di confine fra due religioni diverse, né la linea che separa territorii diversi, l’Occidente e l’Oriente, o etnie diverse o popoli diversi. La barbarie più recente e immane dell’ultimo secolo è nata nel cuore della civiltà europea ottant’anni fa. La storia non si ripete mai, la barbarie si ripresenta spesso. Per quanto tempo ancora l’Europa si cullerà nell’illusione di essere fortezza di civiltà assediata da invasori esterni?

La metafora della stanza barricata a pensarci bene non funziona. O funziona solo a patto di sapere che al di fuori di quella stanza non ci sono solo i nemici, ma infuria una lotta cruenta: i nostri alleati naturali se ancora non sono stati assassinati stanno cercando in ogni modo di difendersi.

La metafora funziona a patto di ricordare che l’incivilità, l’intolleranza e l’odio serpeggiano anche all’interno della fortezza Europa assediata. Vorrei concludere ricordando le parole precise e inesorabili con le quali Gad Lerner anni fa descriveva l’intolleranza tutta nostra – europea – nei confronti di una minoranza di… brutti sporchi e cattivi (tanto per citare un vecchio film di Scola): gli zingari.

Una cosa però dobbiamo dircela chiara, anche se scomoda. Non possiamo più permetterci di considerare i rom e gli abitanti delle bidonvilles come materiale umano di scarto. Cancellarli non si può, a meno di concepirne lo sterminio. Una follia? Niente affatto: è l’unico esito coerente, dilazionato nel tempo, del malumore che cova e dello scricchiolio sinistro del nostro codice morale.
(la Repubblica, 13.8.2007)

Massimo Serenari