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Il Pnrr: un’occasione per FdI e compagnia per sparigliare le carte in Europa

Di Pierantonio Rumignani, PD Berlino e Brandeburgo

Non vi è dubbio che un governo italiano in mano alla coalizione di destra-centro si darà un ruolo ben diverso in seno all’Unione europea rispetto al precedente. Sarà un ruolo antagonistico verso la Commissione e la sua tradizione europeista, più in sintonia con le posizioni di partiti come Fidesz o PiS. Come questi una coalizione di destra-centro cercherà di trovare punti di attacco per affermare la propria posizione di rottura. Uno di questi sarà prevedibilmente il Pnrr nell’ambito del New Generation EU.

Considerato il peso del nostro Paese il danno per l’Europa e il suo processo di aggregazione, già in fase di forte rallentamento e incertezza dai referendum costituzionali con esito negativo del 2005, minaccia di essere notevole. Per l’Italia la ripercussione potrà essere ancora più grave: in primis per il possibile aggravamento della situazione dell’Unione, e in secondo luogo per la possibilità di perdita, almeno parziale, dell’accesso ai fondi del Next Generation EU ammontanti a quasi 200 miliardi di euro. Questi fondi sono essenziali per un restart del paese, da anni in fase di declino economico e sociale, non essendo facilmente sostituibili da fonti finanziarie autonome a causa della situazione finanziaria caratterizzata da un forte livello di indebitamento.

Le recenti professioni di atlantismo della Meloni e i suoi toni solo apparentemente concilianti non dovrebbero trarre in inganno. Le dinamiche dialettiche interne del suo partito insieme con quelle della Lega e la doppiezza degli atteggiamenti di FI non permettono atti di particolare fiducia nei confronti della coalizione di destra-centro. I legami con i rispettivi partner europei di chiara impronta autoritaria e sovranista non potranno non avere influenza sulla politica seguita.

Dobbiamo sperare di non dovere dire fra non molto tempo, come alcuni hanno dovuto fare quando si è trattato di “tipi” come Trump, “l’avevamo previsto”. E non dobbiamo illuderci: prima dell’Italia, che figura solo apparentemente e di facciata in cima alle priorità, viene il trio Meloni-Salvini-Berlusconi con le loro corti.  

Chi desidera sapere di più in merito alla situazione e le prospettive attuali del Pnrr può proseguire nella lettura qui di seguito.

Gli interventi di Giorgia Meloni sul tema del Pnrr (1) si sono moltiplicati ultimamente. Si tratta di un terreno che vedrà verosimilmente aumentare la tensione con la Commissione europea in caso di governo di destra-centro. La nota allergia della sua coalizione verso l’UE, espressione della particolare visione culturale delle due componenti principali con perno nel sovranismo, susciterà confronti e il Pnrr offrirà un terreno in potenza particolarmente fertile – un autentico invito per chi cercasse un punto di attacco.

Già in occasione delle votazioni in Parlamento FdI non appoggiò il piano astenendosi ogni volta, con una sola eccezione di importanza secondaria (2), ma portando avanti un discorso tanto generico quanto fortemente critico segnalando un’avversione radicata che avrebbe dovuto significare nella logica palla nera se un voto negativo non avesse esposto troppo il partito quando il mondo intero o quasi si mostrava favorevole. Carlo Fidanza, esempio esemplare, proiettò il rischio di “un diluvio di tasse” e “il ritorno dalla finestra delle regole dell’austerità” nel suo intervento del 9 marzo 2021 al Parlamento europeo in occasione dell’approvazione del Next Generation EU. Si trattò in verità di osservazioni assai sorprendenti e provocatorie verso l’Unione dato che ben il 36% dei fondi di Next Generation EU destinati all’Italia sono a fondo perduto e che il resto verrà concesso sotto forma di prestito a condizioni ben più favorevoli di quelle alle quali l’Italia può rifinanziarsi sul mercato e che riparano fra l’altro il Paese da possibili e pericolose capriole dello spread.

Le prossime elezioni hanno permesso di ritornare sul tema del Pnrr. Come la carta carbone il programma del destra-centro riprende fedelmente la posizione di FdI e mette in conto una “revisione del Pnrr in funzione delle mutate condizioni, necessità e priorità”. In che direzione si intenda andare rimane tuttora nel vago secondo lo stile già noto.  In ogni caso si richiama un “efficientamento dell’utilizzo dei fondi europei con riferimento all’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime”. Di fronte a osservazioni della Meloni a Cernobbio in cui “ ha parlato esplicitamente di diversione di una piccola parte di fondi a sostegno di misure quale il disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità dal prezzo del gas a livello locale in aiuto dei consumatori italiani” (segnalazione Reuters del 04.08.2022) già da varie parti si sono espressi avvertimenti a non utilizzare fondi del Dispositivo per la ripresa e la resilienza per fini diversi da quelli previsti, ad esempio al fine di ridurre il costo delle bollette che sono da affrontare con altri strumenti.

Sulla base di quanto si può leggere nelle dichiarazioni dei destrogiri (così chiameremo d’ora in poi per semplicità gli aderenti alla coalizione di destra-centro) l’obiettivo apparente si concentra al momento sul settore della “Transizione verde” del Pnrr (3) – che ha come obiettivo nell’ambito del programma di Next Generation EU il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 (4) – spostando il discorso sulle infrastrutture energetiche aprendo ad attività di investimento nel fossile e nel nucleare, quest’ultimo tema particolarmente caro a Lega e FI. Non a caso G. Fazzolari di FdI ricorda esplicitamente che “Il Pnrr nasce in un momento storico diverso, con una pandemia cui far fronte ma prima della guerra e dell’emergenza energetica” (5). Occorre qui tenere ben presente che tale tema è da vedere logicamente distinto da quello della profonda modifica dei prezzi assoluti e relativi delle fonti di energia nonché del forte aumento dei costi di costruzione cui stiamo assistendo in questi mesi. L’ex presidente della Commissione Finanze C. Borghi (Lega) afferma: “Non è che è un capriccio cambiare il Pnrr, la voce mutata delle materie prime rende irrealizzabili le opere già inserite fra quelle finanziabili”. Stiamo in guardia: i destrogiri amano cumulare i due argomenti in uno in modo da attribuire, grazie al secondo, un senso di ineluttabilità della revisione del Pnrr e con essa surrettiziamente un cambio di rotta nelle scelte in materia di scelta tra le fonti energetiche.

In ogni caso occorre mettere in evidenza le scelte nel campo dell’energia che i destrogiri intendono prevedibilmente perseguire, in primis: investimento nel nucleare, fonte energetica ritenuta inopinatamente meno costosa di quelle rinnovabili (6), e rafforzamento del ricorso alle fonti fossili disponibili domesticamente con accento sulle sorgenti di gas (i “pozzi di gas” volentieri citati dalla Meloni) malgrado la loro assoluta modestia e scarsa rilevanza nel bilancio globale – Italy first! Senza addentrarsi qui nel merito del nucleare è bene sottolineare che tale impostazione è chiaramente in collisione con l’approccio attuale europeo come evidenziato dallo European Green Deal e il piano REPowerEU adottato nello scorso maggio dalla Commissione. Ciò non potrebbe che rendere ulteriormente problematica se non disperata una rinegoziazione del Pnrr. 

In merito alla posizione dei destrogiri, meloniani o meno (la Meloni ha assunto una posizione prudentemente favorevole sul tema del nucleare rimandando fra l’altro curiosamente all’ipotesi della fusione nucleare, una tecnologia ancora in fase di sviluppo e lontana decenni da un possibile ma ancora assai incerto impiego: “Il nostro grande obiettivo rimane la fusione nucleare, tecnologia straordinaria sulla quale l’Italia, attraverso Eni, è messa in una posizione importante”), si vuole qui osservare e contestare:

  1. Se è vero che il l’art. 21 del regolamento del Next Generation EU, a cui essi si richiamano per forzare la mano, permette in via eccezionale a uno stato membro in caso di impossibilità di realizzare i piani programmati di chiedere una loro modifica dietro motivazione, è anche vero che il riferimento riguarda in realtà singoli stati. Il significato è chiaro: il caso non riguarda la comunità intera degli stati europei ma uno solo che è in difficoltà per proprie “circostanze oggettive”. Qualora il problema interessi tutta la comunità altri processi sono da iniziare coinvolgendo in una discussione e negoziazione collettiva. I destrogiri sostengono la necessità di un’azione isolata italiana, impresa temeraria per il suo carattere dirompente per l’Europa e ad alto rischio per il nostro Paese.
    È difficile immaginare che queste considerazioni assai evidenti siano sconosciute ai destrogiri e ciò suggerisce di vederle collegate a un’intenzionalità cosciente al fine del perseguimento di obiettivi politici su cui è opportuno riflettere.
  2. A maggiore ragione si può immaginare quanto difficile e incerto per l’Italia possa risultare un tentativo di “rinegoziare” (questo è il termine impegnativo usato nel programma della coalizione di destra-centro – non siamo nell’ambito di correzioni o miglioramenti!) il Pnrr con le autorità EU e quanto arrischiate siano state le azioni che hanno portato alla fine del governo Draghi accrescendo la pressione delle scadenze semestrali legate alle erogazioni dei fondi del Next Generation EU. Un loro mancato rispetto comporterebbe la perdita del diritto a ricevere parte dei fondi, una perdita secca per un paese come il nostro a corto di risorse finanziarie. In questo semestre è in gioco una rata di € 20 miliardi, per cominciare.
  3. Nel pieno delle turbolenze di mercato è sconsigliabile procedere, come sembrano pronti a fare i destrogiri, a una riformulazione di un piano complesso come il Pnrr allorché i prezzi sono sfalsati prepotentemente da uno shock dal lato dell’offerta. Una tale operazione, qualora necessaria, va fatta una volta che la situazione si sia stabilizzata – tra l’altro dopo una discesa dei prezzi delle materie prime calmierati dallo stesso mercato che ritrova un suo equilibrio.
  4. Alla base di una prevedibile contesa in ambito UE sul tema dell’approvvigionamento energetico nel quadro di un processo di decarbonizzazione dell’economia è anche una diversità di valori che non potrà non interessare altre aree del Pnrr.  Una volta creato un vulnus nello strumento del Next Generation EU apparirà logico e allettante per i destrogiri allargare l’azione in altri contesti congiuntamente con gli alleati naturali dei raggruppamenti illiberali al Parlamento europeo di “Identità e Democrazia” e del “Gruppo dei Conservatori e Riformisti” senza dimenticare i cani sciolti come Fidesz.  

È evidente che un voto per la coalizione di destra-centro è un voto contro l’Europa.

  • Per una presentazione power-point completa del Pnrr sul portale ufficiale del progetto (Italia domani):  ://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.mef.gov.it/inevidenza/2021/article_00060/Presentazione-Master-PNRR-PMST2021920STLM03-3.pdf
  • relativa all’approvazione del fondo parallelo React-EU, € 13 mrd a incremento del Fondo Regionale per lo Sviluppo
  • PNRR: Settori di intervento:
 € mrd      %
Transazione digitale 40,3 21,0%
Transizione verde 59,5 31,1%
Infrastruttura per mobilità sostenibile 25,4 13,3%
Istruzione e ricerca 30,9 16,1%
Inclusione e coesione 19,9 10,4%
Salute e resilienza 15,6 8,1%
TOTALE 191,5 100,0%
     
  • https://europa.eu/next-generation-eu/make-it-green_en
  • La Repubblica, 04.09.2022, articolo di E. Lauria
  • Vedi il corposo studio commissionato dal Partito dei Conservatori e Riformisti, cui FdI appartiene oltre, tra gli altri, al PiS polacco, lo spagnolo VOX, i Democratici Svedesi: “Road to Climate Neutrality”, gennaio 2021



La destra italiana ha sempre sostenuto la Russia di Putin e dovrebbe essere ritenuta responsabile per le proprie decisioni politiche

Di Federico Salvati, PD Berlino e Brandeburgo

In Italia abbiamo un problema di politica estera. Il paese capisce male e discute peggio le questioni estere. Diplomaticamente l’Italia è ancora un paese di un certo riguardo, l’apparato burocratico è solido e funziona abbastanza bene. Dal punto di vista tecnico non mancano le occasioni di sentirsi persino orgogliosi dell’operato istituzionale (che recentemente diventano sempre più rari).

Sentire il dibattito politico-culturale italiano in temi esteri è però come bere acqua salata. Più se ne ingerisce e più ci si ritrova assetati e insoddisfatti perché narrative bizzarre e contrastanti molte volte creano ancora più confusione e incertezze invece di rassicurare gli spettatori.

Stessa cosa con la leadership politica. Quando si guarda alle posizioni politiche sullo spettro partitico, ci si aspetta di vedere come le varie opzioni del mercato elettorale prospettino un ventaglio di possibili evoluzioni future della nostra linea e strategia estera. Al contrario, ci si imbatte in rocamboleschi salti di schieramenti che farebbero invidia al Cirque du Soleil.

È il caso della linea politica tenuta nei confronti di Mosca dalla destra italiana. L’Italia è un paese atlantista sia per tradizione che per necessità. Essendo una cosiddetta “media potenza”, la nazione ha bisogno di una politica multilaterale per restare politicamente rilevante. Sebbene i rapporti con Mosca, quindi, abbiano rappresentato una necessità sia dal punto vista economico che politico, la natura di questi rapporti ha continuamente diviso le posizioni progressiste e di sinistra da quelle più conservatrici e di destra.

Contrariamente agli anni della guerra fredda, oggi è la destra Italiana che simpatizza e guarda con interesse alla Russia. In qualità di “esperti della geopolitica”, personalità della (estrema) destra culturale italiana come Diego Fusaro, Daniele Scalea e Tiberio Graziani hanno promosso negli anni passati le idee di autori come Alain de Benoist, Yves Lacoste, Stefan Breuer (studiosi che oggi costituiscono i padri fondanti dell’ideologia populista della destra europea) ma soprattutto quelle di Alexander Dugin, noto ideologo del regime putiniano. Conseguentemente, il dibattito culturale nella destra in Italia, prima dello scoppio della guerra in Ucraina, non ha mai negato di guardare alle posizioni conservatrici nella politica russa come un modello di riferimento per lo sviluppo politico del paese Italia.

Dal momento che, come si suol dire, la mela tende a non cadere molto lontano dall’albero, si nota che la leadership emergente da questo dibattito culturale non poteva avere delle opinioni molto critiche nei confronti del regime politico russo.

Oggi tre su tre dei candidati leader del polo della destra italiana (Berlusconi, Meloni e Salvini) hanno avuto in passato posizioni di aperta simpatia nei confronti della Russia.

Non c’è bisogno di ricordare i rapporti di Berlusconi con il presidente Putin. L’ex Presidente del Consiglio fino a qualche anno fa lodava il capo del Cremlino come un “vero liberale e democratico”. Silvio Berlusconi è stato il perno geopolitico della strategia russa nel nostro paese. Fonti diplomatiche americane (Relazione Spogli) e fonti accademiche (Anton Shekhovtsov) hanno affermato che il Cavaliere e le persone intorno a lui si siano arricchite tramite provvigioni e percentuali legate alle forniture energetiche russe in Italia traendo profitto personale da una politica che ha incatenato il paese alla dipendenza dalla Russia.

In modo analogo, Giorgia Meloni, all’indomani della crisi Ucraina del 2014, si vantava di posizionarsi contro le sanzioni alla Russia perché “folli e irrazionali”. I richiami ai valori conservatrici e reazionari sostenuti da Mosca sono stati sostenuti da Fratelli d’Italia e sono rimasti costanti in questi anni. Inoltre, FdI è stato in passato apertamente accusato di aver accettato donazioni provenienti dalla Russia e da altri gruppi esteri, simpatizzanti delle posizioni populiste di destra.

La punta di diamante nella questione russa resta tuttavia Matteo Salvini. Numerose sono le prove che testimoniano i rapporti diretti dei quadri della Lega con Mosca (esempio fra tutti, il caso Savoini). Oltre a ciò, il programma elettorale della Lega del 2018 (Pagina 22) affermava che la Russia non costituirebbe una credibile minaccia militare, bensì un potenziale partner per la Nato e l’Ue. Si invocava addirittura un rovesciamento della lealtà ai vertici atlantisti e un approfondimento dei rapporti con Mosca, il cui intervento in Europa avrebbe, secondo il Lega-pensiero, aiutato a stabilizzare lo scenario politico.

All’indomani della guerra in Ucraina, tutti i leader della destra italiana hanno dichiarato a gran voce la propria fede nell’atlantismo e nei valori occidentali, prendendo dunque le distanze dal regime putiniano. Giorgia Meloni si è persino guadagnata le attenzioni non esattamente positive del giornale russo di regime Pravda, su cui venne pubblicato un articolo che denunciava l’inversione a “u” della capa dell’esecutivo nazionale di Fratelli d’Italia. L’autore dell’articolo definì la scelta della Meloni “la via dell’abisso”, in base alle dichiarazioni pro-atlantiste della stessa.

Vale il detto che chi non cambia mai idea non sia necessariamente una persona di cui prenderemmo ad esempio le capacità intellettive. Ognuno ha il diritto di evolversi e, riguardando a posizioni e scelte passate, dichiarare di aver preso un abbaglio. Le opinioni mutano e il fatto non è intrinsecamente sbagliato. Oggi, tuttavia, alla vigilia delle elezioni nazionali italiane siamo chiamati a scegliere i nostri rappresentati per la loro capacità di giudizio su fatti politici. Andando alle urne, dobbiamo quindi porci una domanda specifica: è possibile accettare che la destra italiana ricusi senza conseguenze due decenni di posizioni apertamente filo-putiniane liquidando il tutto con: “scusate, abbiamo preso un abbaglio”? Non dovremmo, invece, ritenere questi signori (e signore) responsabili politicamente per aver sostenuto con così tanta convinzione la leadership violenta e criminale di un paese estero in nome del proprio arrogante e ammiccante realismo? Desideriamo veramente che a questi cittadini sia dato il compito di esercitare discrezionalità politica sulle decisioni fondamentali che il paese aspetta? A mio parere, non dovremmo. Mi aspetto una qualche forma di responsabilità per l’operato politico portato avanti per due decenni dalla destra italiana, con coerenza e costanza. Rimane il fatto che l’Italia, contrariamente alla Russia, è un paese libero che permette a ciascuno di formulare il proprio giudizio politico e morale, votando di conseguenza.

Buone votazioni a tutte e a tutti!




Il reddito di cittadinanza: per l’Italia uno strumento solidale senza alternativa e un modo per essere in Europa

Di Pierantonio Rumignani, PD Berlino e Brandeburgo

Giorgia Meloni ha definito il costo del RdC “esorbitante”. Su quale base? Non lo dice. Le viene in aiuto Silvio Berlusconi che chiede il suo dimezzamento. Mentre il terzo della compagnia, Matteo Salvini, che dirige un partito che al governo fu parte attiva nell’introduzione del RdC, non può permettersi di fare apertamente l’affossatore e si concentra sull’inasprimento delle condizioni di accesso ai sussidi. Sorprende ancora una volta come il terzetto non faccia alcuno sforzo per gettare un occhio oltre i nostri confini su come altri sistemi molto simili funzionino – nessuna sorpresa: non lo fa anche nei casi del salario minimo e della flat-tax. Si accorgerebbe che la musica oltre le Alpi, pur con tutte le cautele nell’utilizzo di uno strumento di difficile impiego, è molto diversa.

Il breve allegato mostra alcuni risultati salienti del RdC a tre anni dalla sua introduzione nel marzo 2019. Mentre il contrasto alla povertà, pur rivelando un bisogno di ricalibrazione come proposto nella Redazione del Comitato Scientifico , ha registrato risultati positivi tangibili con un aumento del sussidio dal 5.5% del reddito mediano equivalente nel 2017 (al tempo del REI) al 23,9% nel 2019 fornendo sostegno nel 2021 a 3,9 milioni di persone, si è molto distanti dal realizzare uno strumento efficace per l’inserimento nel mondo del lavoro, il secondo obiettivo del RdC, attraverso la riqualifica e l’utilizzo di efficienti strutture amministrative di matching, un annoso e noto problema che predata il RdC. Le risorse finora impiegate per questo secondo obiettivo appaiono tuttora inadeguate per fare la “differenza” nel colmare il forte divario tra quanto offerto dalle risorse umane da reinserire e le qualifiche professionali richieste dalle imprese . Un maggiore sforzo, finanziario e organizzativo, appare qui necessario.

Ma guardiamo all’esempio della Germania per avere un confronto immediato e parliamo in primo luogo degli importi. A fronte di una spesa di 8,8 miliardi di euro in Italia (2021) la Germania spende per un meccanismo analogo ma di dimensione ben maggiore (Sussidio di base per persone in cerca di lavoro, detto Hartz IV – Grundsicherung für Arbeitsuchende, Libro II, SGB) ben 44,3 miliardi di euro così composti, includendo anche i costi amministrativi (BfA, 2020 – non conteggiate sono le spese una tantum a favore dei beneficiari in situazioni particolari):

               € mrd.
  Sussidio di disoccupazione II e assegno sociale 14,7
  Sussidi aggiuntivi per l’affitto e il riscaldamento 14,0
  Sussidi aggiuntivi per l’assicurazione sanitaria 6,0
  Costi dell’integrazione nel mondo del lavoro 4,0
  Costi amministrativi e altro 5,6
  TOTALE 44,3

Gli aventi diritto sono in Germania attualmente (“Leistungsberechtigte”, luglio 2022) 5,3 milioni contro 3,9 milioni in Italia (fonte: Osservatorio INPS). Nel 2021 sono state integrate in Germania nel mondo del lavoro 900 mila persone, ovvero circa il 24% dei beneficiari in essere contro un 4,5% nel nostro Paese.

Naturalmente anche in Germania la discussione è robusta tra i partiti conservatori e la sinistra della SPD e i verdi. Non abbiamo tuttavia in cantiere tra i primi il progetto di un’abolizione del sistema attuale. La loro reazione, per quanto vivace, di fronte agli ultimi annunci del ministro Heil (SPD) relativi al superamento del sistema attuale in senso più generoso verso i beneficiari dei sussidi è stata quella di un richiamo allo stesso spirito della legge attuale (“Fördern uns Fordern” = incoraggiare ed esigere).

In Italia la discussione si trova in forte ritardo rispetto a quella tedesca.

Mentre il PD, un tempo restio, si dichiara ora apertamente convinto dell‘utilità dello strumento del RdC i partiti della coalizione di destra-centro fanno a gara nell’esprimere forti critiche al riguardo – anche a costo di rivelare nei loro argomenti forti contraddizioni con dati e fatti a disposizione. Una volta di più tali contraddizioni vengono annegate secondo sistema nella dialettica usualmente aggressiva delle loro dirigenze.

La Lega, dovendo rimanere in qualche modo coerente con la propria decisione favorevole all’introduzione del RdC nel 2019, non spinge sulla sua abolizione ma cerca la propria soluzione del problema nell’inasprimento delle condizioni per la concessione del sussidio dimenticando totalmente la grave problematica relativa alla qualifica dei beneficiari. Salvini, che ama le maniere forti e spicce, porta avanti la sua proposta primitiva (intervento al Caffè de la Versiliana a Marina di Pietrasanta) in questo modo: „Come lo si modifica (il RdC, ndr)? Lasciandolo a chi non può lavorare mentre per chi può lavorare se rifiuti anche una sola offerta perdi subito il beneficio.” mostrando di vedere in ogni lavoratore solo uno scansafatiche inveterato che mira unicamente a intascare il sussidio. L’opportunità della riqualifica, anche nell’interesse dei datori di lavoro, viene messa apparentemente in soffitta ritenendo che basti la volontà di lavorare per far scaturire l’impiego, anche se sottopagato.

Una posizione simile, anche se in termini diversi, viene assunta da FdI ove la sua segretaria nazionale la mette sul piano della cultura, che in realtà nel suo partito non sembra essere troppo di casa, per giustificare una chiusura netta e irrevocabile (intervento su Radio24): “Sono 4 anni che assumo toni duri su una misura culturalmente sbagliata. Uno Stato giusto distingue l’assistenza a chi non può lavorare e il sostegno per chi lavori mentre noi abbiamo messo tutti sullo stesso piano. Se le stesse risorse destinate al reddito di cittadinanza le avessimo date, per la stessa quota, alle imprese per assumere le persone, oggi avremo meno disoccupati e a carico dello Stato.” Evidentemente Giorgia pensa che „chi non può lavorare“ e „chi lavori“ siano due categorie a compartimenti stagni negando sostanzialmente funzione alla riqualifica. In questa logica il problema sarebbe risolvibile dando i fondi del RdC agli imprenditori e abbassando i costi di assunzione. In questo modo Giorgia si trova come Salvini palesemente in conflitto con la realtà che mostra quanto grandi siano le difficoltà delle imprese a trovare il personale con le qualifiche da loro richieste, risolvendo tutto in una questione di prezzo e costo e lasciando a terra il lavoratore senza sostegno economico nel caso questo non trovi rapidamente occupazione.

Ma le osservazioni sul Giorgia-pensiero non si fermano qui: una volta messo il lavoratore disoccupato nel girone di „chi non può lavorare“, questo non ne può presumibilmente più uscire se non per raro accadimento, venendo bollato come percettore di elemosina per il resto della sua esistenza.

FI invece, spazzando sotto il suo capace tappeto le parole di aperto elogio per lo strumento del RdC pronunciate ripetutamente da Berlusconi l’anno scorso – diciamo a posteriori: evidentemente per tornaconto politico immediato – e non dimentico dello stato problematico delle nostre finanze malgrado si parli di un esborso per il RdC (dato del 2021) dell‘1,4% della spesa pubblica misurata sull’ultimo anno precedente il Covid (2019), si pone nel ruolo del Ministero delle finanze (intervista a Berlusconi su Money, 11.08.2022) indicando l‘obiettivo di recuperare „4 miliardi dalla riformulazione del reddito di cittadinanza (ovvero quasi la metà della spesa del 2021, ndr), che deve diventare una misura a favore di chi non può davvero lavorare“, concetto del tutto incerto su cui anche lui batte.  

Fatto sta, nella confusione delle varie posizioni degli attori, che il programma della coalizione di destra-centro si pronuncia manifestamente contro il RdC – peraltro in modo vago e indeterminato e pure in contraddizione con alcune delle posizioni richiamate sopra – proponendo semplicemente una non meglio definita „sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro” senza altra precisazione.

La sola abolizione o forte ridimensionamento del RdC unitamente alla flat-tax e al rifiuto dell’introduzione del salario minimo mette in evidenza la linea della coalizione destra-centro a favore di un alleggerimento del peso fiscale per le classi più abbienti e una riduzione della spesa sociale – questo anche quando essa è destinata a incrementare l’efficienza del sistema economico – così nel caso del RdC quando uno degli effetti è quello di incrementare la popolazione attiva a sostegno di una anemica crescita economica.

Il contrasto non può essere più netto con le posizioni a favore del RdC dei partiti opposti alla coalizione di destra-centro, inclusa Azione che nella persona di Calenda ha fatto sapere due giorni fa in un incontro elettorale a Catania di non essere “contraria al reddito di cittadinanza. Chi non può lavorare, non è in condizioni di farlo, deve continuare a prenderlo. Chi può lavorare deve essere formato.” Il pensiero non è “pulito” perché solleva domande sul tema della reintegrazione generalmente difficile delle persone disoccupate da lungo tempo ma manifesta l’accettazione del principio di un RdC, malgrado il nome infelice e fuorviante.

Qui si invita apertamente chi andrà prossimamente a votare a tenere conto delle argomentazioni sopra esposte senza dimenticare che la ragione principale di misure come il RdC è il sostegno delle classi meno abbienti in una società che non può e non deve dimenticare il dovere morale di favorire un’esistenza degna e dignitosa per tutti i suoi cittadini.

ALLEGATO

L’introduzione, dopo un timido inizio con il Reddito di Integrazione (REI), del Reddito di cittadinanza (RdC) ha rappresentato un tardo adeguamento del nostro sistema di protezione sociale a quanto è già da anni fatto acquisito nella stragrande maggioranza dei paesi europei.

Come altrove lo strumento viene definito, quale sostegno „di ultima istanza“, attraverso il perseguimento di due principali fini a beneficio delle famiglie a basso reddito con componenti in età di lavoro e non inabili:

  1. Contrasto alla povertà: mediante l’integrazione del reddito familiare attraverso un sussidio economico fino a determinati massimali ed eventuale contributo addizionale a copertura di costi per l‘affitto della propria abitazione
  2. Migliore inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro: mediante un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale

Ricordando a) che esiste oggi un consenso internazionalmente esteso sull’opportunità di un duplice intervento, di reddito e di riqualifica, a sostegno dei lavoratori con basso reddito e dei loro nuclei familiari e b) che le critiche al tempo dell’introduzione del RdC si concentrarono fondamentalmente sul suo costo  e la generosità delle sue regole e non sul suo indirizzo[1], si resta sorpresi come negli ultimi tempi ci si pronunci nella coalizione di destra-centro in modo apertamente contrario agli stessi principi che lo informano e che ne giustificarono l‘introduzione.

Il RdC si qualifica, per quanto riguarda il primo fine di cui sopra, ovvero il contrasto alla povertà, di una forma condizionata di „minimo reddito garantito“ e non di un reddito corrisposto senza condizioni a tutti i cittadini, altrimenti detto „reddito di base“, come il nome del programma potrebbe invece indurre erroneamente a pensare. Tale ulteriore tema è in realtà distinto e attende ancora di essere propriamente affrontato.

A tre anni circa dall’entrata in vigore del RdC i risultati si lasciano per molti versi apprezzare a dispetto delle critiche per quanto riguarda l’obiettivo di contrasto alla povertà: nel 2021 sono state sostenute 1,8 milioni di famiglie, ovvero 3,9 milioni di persone, con un esborso totale di 8,8 miliardi di euro e un importo medio di 546 euro (fonte: INPS). Ciò ha permesso di elevare il beneficio economico ricevuto dalle famiglie beneficiarie (inclusi i contributi per l’affitto) al 23,9% del reddito mediano equivalente (dato 2019 – media UE 2017: 11,1%), in forte aumento rispetto al 5,5% rilevato nel 2017.

Il grafico qui allegato tratto dalla recente Relazione del Comitato Scientifico mostra non solo un confronto tra i vari livelli di beneficio dallo strumento del reddito di ultima istanza (in l’Italia: RdC) come percentuale del reddito mediano equivalente ma include per un paragone più completo (con riferimento, per l’Italia, anche al dato aggiuntivo per il 2019) anche altre fonti di sussidio che in Italia sono più modeste che nella maggior parte degli altri paesi. Secondo tale statistica l’Italia figura al quarto posto per generosità della somma degli interventi dopo i Paesi Bassi, Finlandia e Irlanda. È tuttavia da non dimenticare che i salari italiani si situino generalmente al di sotto delle medie europee rendendo meno lusinghiero il suo posizionamento. Graduatorie sulla base di altri criteri vedrebbero l’Italia in una posizione decisamente meno favorevole.

A quanti possono sentirsi tentati di osservare come il nostro Paese, oberato da un alto debito pubblico, si sia avventurato in un sostegno eccessivamente generoso a favore della popolazione in stato di bisogno si può a buona ragione opporre, come si osserva nella Relazione, che solo circa 37.000 famiglie su un totale di 1,6 milioni di nuclei che hanno beneficiato fino ad oggi del RdC (un mero 2,3%) godono di un reddito complessivo, incluso RdC, superiore alla soglia di povertà assoluta.

Il dente duole invece relativamente al raggiungimento del secondo obiettivo del RdC, l’inserimento nel mondo del lavoro. Gli ultimi dati pubblicati[2] (aprile 2022 – nota 8, Anpal – Agenzia Nazionale politiche Attive del Lavoro) riferiscono che al 31 dicembre 2021 solo il 45,6% (ovvero 385 mila) delle persone non esonerate al PPL-Patto Per il Lavoro era stato „caricato“[3]. Pur considerando ritardi non quantificati dovuti all’emergenza Covid-19, la durata media del processo fino al termine della sola analisi preliminare indicata nella Relazione appare oltremodo lunga:

Non soltanto il processo appare eccessivamente protratto – la Relazione richiama qui l‘insufficienza del personale adibito cui le recenti „finanziarie“ cercano opportunamente di ovviare con maggiori stanziamenti – ma i beneficiari stessi del RdC rivelano di avere una qualifica troppo bassa per soddisfare l’offerta di lavoro rendendo difficoltoso il processo di reintegrazione. Alla fine dell’anno scorso solo il 23% dei non esonerati dalla stipula del PPL era „vicino al mercato del lavoro“ (con cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro nei tre anni precedenti – e solo l‘11% nell’anno precedente) mentre coloro che erano „lontani“(senza esperienza di lavoro negli ultimi tre anni) rappresentavano ben il 57% (fonte Anpal).  

Purtroppo non sono rilevabili statistiche che indichino il numero delle persone reintegrate nel mondo del lavoro grazie al RdC. Si tratta in ogni caso di un compito particolarmente arduo evidenziato dalla disparità tra offerta di lavoro e capacità di quanti cercano impiego come il Bollettino Excelsior di Unioncamere/Anpal rivela: „Ad agosto (2022 ndr), la difficoltà di reperimento dichiarata dalle imprese riguarda complessivamente il 41,6% delle assunzioni programmate (8,9 punti percentuali in più rispetto allo scorso anno).

Fonte: Relazione del Comitato Scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza 

[1] Un esempio fra i tanti in cosiderazione anche di una breve panoramica nei vari paesi europei: „Reddito di cittadinanza: un confronto con l’Europa“, Osservatorio CPI, Università Cattolica di Milano, 2018

[2] Nota 8, aprile 2022, Anpal – Agenzia Nazionale politiche Attive del Lavoro

[3] La Relazione distingue i passi seguenti: 1. Avvio presa in carico 2. Completamento analisi preliminare 3. Firma del patto (PaIS) 4. Monitoraggio del caso.
„Il percorso di presa in carico PaIS (PaIS) si compone di diverse fasi. Le attività di valutazione dei bisogni e delle risorse delle famiglie si concludono con la firma del Patto per l’Inclusione Sociale e la definizione di obiettivi, sostegni e impegni per la famiglia. Dopo la firma del PaIS, le famiglie inizieranno a ricevere i sostegni previsti e gli impegni verranno monitorati dall’assistente sociale. La durata del Patto può anche eccedere la durata della erogazione del beneficio economico“ (Relazione del Comitato Scientifico per la valutazione del Reddito di Cittadinanza)




Comunicato sulla bocciatura dei quesiti referendari su eutanasia e cannabis

In data 16 febbraio 2022, in maniera differita, sono state rese pubbliche le decisioni contrarie della Corte costituzionale ai quesiti referendari sull’eutanasia e sulla cannabis. Sono state proposte la depenalizzazione dell’assistenza al suicidio, da una parte, e della coltivazione e possesso di marijuana, dall’altra.

Non mettiamo in dubbio il giudizio della Corte costituzionale, ma riteniamo che l’impegno per questi temi non si debba arrestarsi al primo ostacolo. La Consulta conferma dubbi che già esistevano riguardo al problema che nascerebbe dall’abolizione della 579 malgrado l’inserimento di casi notevoli in cui un divieto permarrebbe. Pertanto: solo una legge può risolvere l’impasse.  È compito del parlamento quale organo legislativo sovrano fare uno sforzo per produrre e far passare una legge che regoli queste due questioni. La libertà personale deve essere garantita e regolata per legge.

Entrambe le campagne referendarie hanno visto una grande partecipazione popolare, agevolata anche dall’uso di strumenti digitali per la raccolta firme. È il Partito Democratico che deve farsi portavoce di entrambe le campagne.

Permettere l’eutanasia mette al centro la vita del paziente, invece di lasciarla in balia di strutture ospedaliere e di organizzazioni religiose. Il PD deve essere il punto di riferimento per chi chiede una netta separazione fra Stato e confessioni religiose.

In secondo luogo, la depenalizzazione della coltivazione e detenzione di quantità minime di marijuana permetterebbe di controllare meglio il flusso della stessa, in modo da gestirne meglio gli effetti. Svuoterebbe le carceri, sovraffollate e dove vi ci si finisce anche solo per la detenzione di quantità minime di droghe leggere. Toglierebbe un business alle mafie e permetterebbe un approccio realista, più socialmente costruttivo alla questione.

Il trend è chiaro: In Germania il suicidio assistito non è vietato e la maggioranza progressista al Bundestag si accinge a legiferare in proposito (link), mentre la depenalizzazione del consumo di marijuana è uno degli obiettivi del trattato di coalizione e verrà presto tradotto in legge.

Sull’argomento è necessario fare chiarezza, ma non è un obiettivo raggiungibile tramite l’istigazione di un dibattito basato sulla paura e demonizzazione del suicidio assistito e della marijuana. È dovere del PD fare una campagna seria sul tema e illustrare i pro e i contro delle questioni, in maniera non ideologica, ma basata su reali circostanze e possibili reali benefici di una regolamentazione, tra le quali l’allontanamento da situazioni d’illegalità.

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Fonte immagine: https://www.corriere.it/cronache/22_febbraio_15/eutanasia-referendum-corte-costituzionale-232f14e2-8e8a-11ec-a91e-e98defcaa657.shtml




IL SALARIO MINIMO IN ITALIA. UNA PROSPETTIVA EUROPEA

AGORÀ DEL PD BERLINO E BRANDEBURGO E DEL PD TRIUGGIO

Link al documento

Ringraziamo tutte le persone che hanno contribuito con input ed idee durante la discussione del 22.11.2021 e con messaggi sulla pagina dell’Agorà. In particolar modo ringraziamo gli ospiti, Simone Oggionni, Emanuele Felice, Giorgia D’Errico, il Circolo PD Copenaghen ed Articolo 1.

 

L’introduzione di un salario orario minimo in Italia è un tema politicamente attuale e rilevante. A livello europeo è in corso una discussione proprio in questi giorni per approvare un perimetro generale di regole entro cui i Paesi membri possano poi legiferare in modo autonomo. L’esperienza recente della Germania ha dimostrato che la misura non produce effetti negativi sull’econonomia, né contrazioni dei salari: tutt’altro. Milioni di lavoratrici e lavoratori di settori in cui i salari erano bassi o bassissimi, al di sotto della soglia di povertà, hanno visto migliorare concretamente la propria condizione di lavoro. La Commissione istituita per vigilare sull’andamento del salario orario minimo ha già provveduto ad innalzare da 8,5 a 9,5 Euro lordi. Nella prima bozza di accordo tra FDP, SPD e Verdi è indicato nero su bianco l’innalzamento a 12 Euro lordi l’ora. Il Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung (DIW) di Berlino ha recentemente osservato che lo strumento è risultato efficace, ma non sufficiente. Per esempio, l’istituto suggerisce di non focalizzarsi solo sull’innalzamento della retribuzione oraria lorda minima, ma anche di intervenire su altre questioni, quelle legate al contrasto del lavoro nero, agli investimenti nella formazione professionale così come quelle legate alla riforma delle forme di contratto per ampliare le tutele che, ad oggi, nonostante il salario orario minimo risultano deboli per molte lavoratrici e molti lavoratori.

Alla luce di queste considerazioni, delle esperienze maturate in altri Paesi – come in Germania –, e delle specificità del caso italiano, la nostra Agorà si è concentrata su due dimensioni: (1) una tecnica relativa al valore adeguato di un salario orario minimo, anche in riferimento alle direttive europee attualmente esistenti e in discussione; (2) la modalità in cui questo intervento debba realizzarsi in una prospettiva sistemica che tenga in conto le riforme del welfare e del sistema tributario, affinché siano indirizzate realmente al principio di progressività e dunque d’equità.

Alla base di questa complessa e ricca discussione ci sono (1) la consapevolezza che finalmente possiamo capovolgere un paradigma, quello neoliberista, che fino ad oggi ha guardato alla “flessibilità salariale” e alla precarizzazione, producendo una rincorsa al ribasso dei salari stessi e dunque ad un progressivo impoverimento di ampie fasce di popolazione che, nonostante siano
impegnate in attività lavorative, si sono ritrovate sempre a rischio di esclusione sociale: i cosiddetti “lavoratori poveri”, che in Italia sono circa il 12%; (2) che per poter realizzare questa rivoluzione di paradigma occorra mettere il tema del “lavoro” al centro dell’agenda politica del PD e dell’alleanza a sinistra necessaria per poter portare avanti un progetto convincente e realizzabile di superamento dello status quo.

In sintesi, le proposte emerse dalla discussione dell’Agorà da noi promossa sono le seguenti:

(1) La discussione sull’introduzione di un salario orario minimo in Italia deve essere portata avanti con un dibattito sulla riforma della legge sulla rappresentanza sindacale e sulla contrattazione collettiva; questo perché in Italia i contratti collettivi giocano un ruolo importante da cui non si può prescindere;

(2) Seguendo le indicazioni dell’UE discutere l’introduzione di una soglia per il salario orario minimo in Italia a livello nazionale senza differenziazioni regionali, fissando il valore tra 8 e 9 Euro lordi l’ora, almeno, compresa la tredicesima; coprendo quasi la totalità dei lavoratori poveri attualmente stimati in Italia senza superare eccessivamente le indicazioni dell’UE;

(3) Legare l’introduzione del salario orario minimo a una ottimizzazione degli strumenti di welfare e tutela sociale (tra cui il reddito di cittadinanza) e ad un rafforzamento importante delle politiche attive del lavoro, come suggerito per il caso tedesco dal DIW, includendo anche il contrasto al lavoro nero;

In conclusione, nel programma del Partito Democratico e dell’alleanza di centrosinistra alternativa alle destre, alla luce anche del lavoro di approfondimento portato avanti nel 2020 dalle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, che ha portato anche una parte del sindacato a interrogarsi e a contribuire alla discussione, riteniamo si debba mettere al centro una vera battaglia per il lavoro dignitoso. Questo significa in primis introdurre un salario orario minimo che porti fuori dalla povertà i milioni di lavoratrici e lavoratori poveri (circa 3 milioni di persone). Servirà farlo nel quadro di una proposta ambiziosa ed organica che preveda una legge sulla rappresentanza e rafforzi lo strumento dei contratti collettivi nazionali, che fissi il valore del salario orario ad almeno 8 Euro lordi (con tredicesima), che riformi ed ottimizzi il Reddito di Cittadinanza e le politiche sociali (welfare) e che dia centralità alle politiche attive del Lavoro e alla questione della formazione professionale.

Federico QUADRELLI                                                                                 Lorenzo SALA

Segretario PD Berlino e Brandeburgo                                                 Segretario PD Triuggio

 

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Sulla battuta di arresto del DDL Zan

Ieri in Senato, con un voto a scrutinio segreto, è stata votata la tagliola sul DDL Zan voluta da Lega e FdI e concessa dalla Presidente Casellati. Sono rammaricato, ovviamente, ma non stupito. Al di là della questione puramente numerica, e non potendo dire chi ha votato come a causa del voto segreto, c’è un dato politico incontrovertibile, come hanno osservato durante il dibattito senatrici e senatori del PD, del M5S e di LeU. La stessa capogruppo Sen. Malpezzi lo ha sottolineato.

Italia Viva ha cambiato posizione non appena il DDL è arrivato al Senato. Davide Faraone intervenne per dire che era necessario parlare con la destra per fare modifiche al DDL. Questo dopo aver lavorato, come IV, assieme al PD, al M5S, e a LeU per fare delle modifiche al DDL. Modifiche che poi hanno chiesto di cancellare. Una vera presa in giro.

Il DDL è stato tenuto ostaggio in Commissione, rinchiuso in un cassetto per troppo tempo.Quando poi la discussione è arrivata in Aula abbiamo avuto reazioni scomposte. La destra italiana, sovranista e vicina alle posizioni ideologiche di Orban, non ha mai voluto una legge per tutelare le persone LGBTQI, anzi, nei vari interventi al senato è emerso a più riprese una volontà chiara di lasciare le cose come stanno. Le mediazioni che poi hanno proposto erano del tutto strumentali, volte solo allo svuotamento sostanziale del DDL.

Tristissimo che IV al Senato si sia prestata a questo gioco chiedendo alle forze progressiste di dialogare con questa destra. Anche Forza Italia dovrà interrogarsi a fondo sulla propria natura “liberale”. Solo il deputato Elio Vito ha avuto il coraggio di parlare sempre a viso aperto a favore del DDL, evidenziando l’incoerenza di una forza politica che vuole essere, appunto liberale, e che nella sostanza sceglie le posizioni di Orban sul tema dei diritti.

Credo che sia stata una brutta pagina, specie per l’esultanza da stadio di senatrici e senatori della destra. Ma anche un momento di grande chiarezza: da una parte ci sono partiti che hanno portato avanti, con coerenza e fermezza, una battaglia sui diritti, dall’altra chi questi diritti non li ha mai voluti.
Mi rammarico molto perché sono stato, in Assemblea Nazionale, tra i firmatari della mozione con cui si impegnava il PD ad appoggiare il DDL. La battaglia andrà avanti. Il Segretario Enrico Letta ha invitato le associazioni LGBTQI* a promuovere una legge popolare sul tema, offrendo pieno appoggio. Credo possa essere un’ottima occasione di mobilitazione e d’impegno civile, per dimostrare che il Paese è anni luce avanti ad una certa classe dirigente. La nostra battaglia per i diritti di tutte e di tutti continua.
Federico Quadrelli
Segretario PD Berlino e Brandeburgo

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Fonte immagine: https://www.adnkronos.com/resources/026e-139453f34cd5-34b3dbb5063a-1000/format/big/senato_fg_2710.jpg




Comunicato a sostegno di Mimmo Lucano e del ‘Modello Riace’

La stupefacente condanna di Mimmo Lucano da parte del tribunale di Locri che arriva a comminare quasi il massimo della pena prevista per ognuno dei numerosi capi di imputazione e, in totale, quasi il doppio della richiesta avanzata dal pubblico ministero nonché pene pecuniarie draconiane ha sorpreso quanti, come noi, hanno da sempre nutrito una grande ammirazione per la sua opera. Questa è divenuta nel tempo ancora più luminosa nel contrasto con l’indegna campagna di fango orchestrata dalla destra salviniana, essa stessa oggetto di numerose e ripetute vicende giudiziarie, che sembra oggi conseguire un suo obiettivo ambito.

Il „modello Riace“, con il quale si è prodigiosamente combinata la rivitalizzazione di un borgo in via di spopolamento con l’accoglimento e l‘integrazione di immigrati sulla base della creazione di nuove attività lavorative, è un simbolo che fa onore non solo a chi lo ha ideato e applicato superando infinite difficoltà, ma anche al nostro Paese. I numerosi riconoscimenti ricevuti da Mimmo in tutto il mondo, da Fortune ai premi per la pace e i diritti umani di Berna e Dresda, sono da soli una risposta esauriente al rozzo e ignorante populismo xenofobo che di proposito ha voluto fare di Mimmo un obiettivo esemplare da denigrare e abbattere.

Non abbiamo la conoscenza dettagliata che ci possa permettere un giudizio compiuto sugli incredibili capi d’accusa che stanno alla base della condanna e che vanno dall’associazione a delinquere – come se Mimmo fosse uno dei volgari mafiosi che da sempre ha contrastato – al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina fino alla truffa e al peculato – lui che, come da innumerevoli testimonianze, non ha ricchezze e non conduce una comoda vita negli agi. L’avvocato Pisapia, che ha accettato di difendere senza onorario Mimmo, parla di una sentenza „totalmente in contrasto con le evidenze processuali“.

Non vogliamo qui, per amore della correttezza cui ci sentiamo obbligati come democratici, iniziare un nostro processo di piazza contro coloro che hanno emanato la sentenza. Non abbiamo, come detto sopra, gli elementi per poterlo fare. Non è d’altra parte nostro compito esercitare in modo surrettizio funzioni che sono dei giudici. Siamo soprattutto interessati ai risvolti e i significati politici e sociali delle vicende sulla base di quanto accertato in sede di procedimento giudiziario, per quanto esso sia tenuto a motivare le proprie sentenze sulla base di un accertamento dimostrato dei fatti a tutela delle parti coinvolte.

Per rispetto dovuto alla Giustizia in quanto istituzione e sospendendo ogni giudizio vogliamo quindi attendere con grande attenzione il deposito della sentenza con le relative motivazioni che avverrà entro i prossimi 60 giorni. Solo allora potremo, fra l’altro, meglio giudicare quanto giusta sia l’osservazione di Pisapia riportata sopra.

Tuttavia vogliamo una volta di più e con forza mostrare la nostra solidarietà a Mimmo in questo momento difficilissimo per lui e rinnovare l’espressione della nostra grande ammirazione e riconoscenza per la sua opera esemplare. La battaglia non è finita con questa sentenza e noi nutriamo una speranza ben fondata che il prosieguo del procedimento giudiziario porterà alla completa riabilitazione di Mimmo non solo nelle aule dei tribunali ma nel paese intero.

Circolo PD di Berlino e Brandeburgo

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Immagine adattata da: https://livesicilia.it/wp-content/uploads/2021/09/Mimmo-lucano-648×340.jpg




COMUNICATO DDL ZAN VENGA APPROVATO SENZA RITARDI. DA ITALIA VIVA ATTEGGIAMENTO SCONSIDERATO

I numeri per approvare il DDL Zan ci sarebbero anche al Senato se Italia Viva votasse il testo come ha fatto alla camera. Invece, in Senato IV vuole fare interventi di modifica che svuoterebbero il DDL del suo senso con il giubilo della Lega e della destra radicale.
Assistiamo a un Film già visto, quello delle Unioni Civili, che furono menomate rispetto al progetto iniziale proprio sulla base delle resistenze del gruppo di centrodestra con Alfano e di un’ampia fetta dell’allora PD a guida renziana. Non a caso gran parte di quella componente è ora Italia Viva. Sembra una corsa per il compromesso al ribasso, ma sulla pelle delle persone. Penso che quello di Italia Viva al Senato sia un comportamento cinico, che mette un freno al percorso per i diritti. Ci ritroveremo ancora con poco o nulla, specie rispetto a tanti altri paesi europei. Da delegato in Assemblea Nazionale sono stato tra i firmatari della mozione per l’approvazione del ddl Zan assieme a Monica Cirinnà, Brando Benifei, Sergio Lo Giudice e altre/i impegnati in una battaglia di civiltà. Spero che la coscienza individuale di senatrici e senatori di IV prevalga e che siano coerenti col percorso seguito fino ad oggi alla Camera.

 

Federico Quadrelli

Segretario PD Berlino e Brandeburgo

 

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Fonte immagine: Orizzontescuola.it, https://www.orizzontescuola.it/wp-content/uploads/2021/06/Zan.jpg




Buon 25 aprile dal Circolo PD Berlino e Brandeburgo




Per un Partito della solidarietà e dei diritti

Per un Partito della solidarietà e dei diritti

 

L’Assemblea nazionale

 

premesso che:

 

nell’attuale fase storica e politica è divenuto ancora più urgente assumere posizioni chiare e definite nel contrasto delle discriminazioni e delle disuguaglianze, e in particolare di quelle legate a profili della dignità e dell’identità delle persone, oltre che alla loro materiale condizione di vita; in particolare, il riconoscimento e la tutela dei diritti civili e dei diritti sociali è un elemento essenziale della lotta per la pari dignità, perché senza diritti, doveri e responsabilità non c’è eguaglianza;

 

da un lato, infatti, l’emergenza pandemica ha fatto esplodere disuguaglianze latenti, da quelle legate al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere a quelle legate all’accesso al lavoro, alle cure e a condizioni di vita dignitose;

 

dall’altro, il mutato scenario politico-parlamentare impone di dare voce, in Parlamento, a istanze di riconoscimento e tutela di diritti che rischiano di rimanere marginali e che, invece, sono profondamente avvertite dalla base del Partito e dal suo elettorato, anche in termini identitari;

 

il Partito democratico attraversa un momento decisivo della propria storia, in cui è chiamato a ridefinire la propria identità e i propri orizzonti culturali per poter elaborare una nuova visione dell’Italia del futuro; in questo lavoro collettivo di ricostruzione i desideri e le necessità delle persone – e dunque, i diritti civili e i diritti sociali insieme – devono assumere un rilievo centrale, coerentemente con gli articoli 2 e 3 della Costituzione, faro della nostra azione politica;

 

solo un Partito chiaramente posizionato su questi temi è infatti in grado di dire se immaginiamo, per i prossimi decenni, un’Italia in cui tutte le differenze siano una risorsa e una ricchezza per la crescita dell’intera comunità, piuttosto che un pericolo da cui guardarsi, riproponendo tradizionali dinamiche di esclusione e marginalizzazione;

 

Considerato che:

 

molte sono le sfide attualmente aperte, sia in Parlamento che nel Paese, su questi temi, e che il Partito democratico deve essere in grado d’interpretarle orientandole verso un futuro di eguaglianza, inclusione e pari dignità;

 

dalla legge contro l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l’abilismo, all’introduzione di regole paritarie sull’attribuzione del cognome ai figli, dall’esigenza indifferibile di dare risposta al monito della Corte costituzionale su questioni come la tutela della dignità alla fine della vita e il riconoscimento dei diritti delle bambine e dei bambini delle famiglie arcobaleno, fino all’urgenza di riaprire la discussione sulla modifica della legge sulla cittadinanza e su una radicale riforma del diritto dell’immigrazione, il Partito democratico non può rinunciare a far sentire con chiarezza la propria voce, in modo credibile e unitario, facendosi riconoscere dal proprio elettorato e dal Paese come partito dei diritti e della solidarietà;

 

a queste sfide altre se ne aggiungono, sulle quali è necessario aprire una discussione franca anche nel PD, come ad esempio l’estensione dell’accesso al matrimonio a tutte le coppie, indipendentemente dal loro orientamento sessuale; la piena garanzia della dignità delle persone trans e non binarie, assicurando il riconoscimento dell’autodeterminazione di ogni persona sul proprio corpo, tutelando salute e dignità assieme; la tutela della dignità delle detenute e dei detenuti;

 

questi campi di lotta sono profondamente collegati tra loro e condividono con le lotte delle donne per la pari dignità e la piena cittadinanza un comune orizzonte di libertà, eguaglianza, inclusione; non è possibile dimenticare, a questo proposito, l’attacco cui sono attualmente sottoposte, in molti luoghi del Paese e sul piano politico come su quello culturale, la legge 194/1978, e – più in generale – l’autonomia delle donne in ambito riproduttivo, affettivo, familiare, lavorativo;

 

impegna il Segretario nazionale

 

a mettere dignità e diritti, civili e sociali insieme, al centro dell’azione del PD, facendone il perno della ricostruzione di una identità e di un progetto politico condiviso e unitario, saldamente incentrato sulla lotta a tutte le disuguaglianze;

 

a sostenere, nell’immediato, l’iter parlamentare della legge contro l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l’abilismo, con l’obiettivo di ottenere la sua definitiva approvazione, in tempi rapidi, da parte del Senato;

 

ad avviare, nel Partito e nel paese, una discussione aperta sul modo di costruire, insieme, una società più inclusiva, libera e giusta.

 

 

Monica Cirinnà

Laura Boldrini

Alessandro Zan

Sergio Lo Giudice

Brando Benifei

Pierfrancesco Majorino

Lamberto Bertolè

Paola Bocci

Caterina Bonetti

Giuliana Casartelli

Simonetta D’Amico

Diana De Marchi

Irene Deval

Elena Ceretto Castigliano

Mattia Franceschelli

Paolo Furia

Lara Galli

Nadira Haraigue

Giorgio Laguzzi

Annalisa Lamazzi

Nicoletta Leo

Roberta Li Calzi

Massimo Maisto

Lorenzo Massarenti

Luciano Mazzuccato

Gabriella Montera

Marco Pacciotti

Lorenzo Pacini

Giulia Pelucchi

Federico Quadrelli

Carla Rocca

Carmela Rozza

Marco Sarracino

Davide Skenderi

Veronica Tentori